Quando l’arte diventa più di ciò che vediamo.
Quando la bellezza si lascia toccare.
Ciò che è invisibile agli occhi, può diventare visibile al cuore… e alle mani.”
“L’arte non è cieca” è più di un documentario: è una finestra aperta su un universo percettivo che sfida le definizioni convenzionali di “vedere”. Un viaggio immersivo che mette in relazione due mondi opposti e complementari – quello tattile di Luca, scultore cieco dalla nascita, e quello visivo di Antonietta, pittrice che decide di spogliarsi della vista per riscoprire l’arte.
Un viaggio che parla a tutti
Girato in alcune delle principali istituzioni museali italiane, questo documentario esplora l’arte da un punto di vista inedito: l’accessibilità sensoriale. Non si tratta solo di una riflessione filosofica, ma di un confronto concreto, umano, a tratti commovente, tra due artisti che usano linguaggi diversi per esprimere emozioni comuni.
Obiettivi del progetto
Il documentario “L’arte non è cieca” non è semplicemente il frutto di un incontro, ma la testimonianza viva di due visioni del mondo che si sfiorano, si confrontano e si trasformano a vicenda.
Da una parte, la percezione visiva di Antonietta. Dall’altra, l’universo tattile di Luca. Il risultato è un dialogo sensoriale continuo, profondo, in cui l’arte non viene solo osservata, ma attraversata.
La narrazione, volutamente essenziale e sincera, si snoda tra momenti di ascolto, silenzi significativi e interazioni autentiche, offrendo allo spettatore un’immersione totale. La regia sceglie di non guidare, ma di accompagnare, lasciando che siano le mani, le voci e i gesti dei protagonisti a dettare il ritmo emotivo del racconto.
Questo costante parallelismo tra “vedere” e “sentire” genera una nuova consapevolezza: la percezione non è mai oggettiva, ma sempre filtrata dal vissuto. E proprio in questo spazio tra visibile e invisibile, tra luce e buio, nasce il valore più grande del film.
Il risultato?
Un’opera che non racconta l’accessibilità: la rende reale.
Che non descrive l’inclusione: la fa vivere.
Che non mostra solo arte: la fa toccare.
L’arte non è cieca
Documentario
30 min
2024
Trieste (Italia)
Per valorizzare il doppio registro sensoriale (vista e tatto), la regia ha optato per un linguaggio cinematografico sobrio ma immersivo: camera a mano per le interazioni, inquadrature statiche per le esperienze tattili, e una colonna sonora originale che guida l’esperienza sensoriale.
L’alternanza di luci calde e fredde serve a rafforzare il contrasto tra il mondo “visto” e quello “sentito”. Le sequenze nei musei sono state girate con lenti anamorfiche, mentre le scene tattili con obiettivi macro per esaltare ogni dettaglio delle mani in movimento.
In L’arte non è cieca, la regia sceglie deliberatamente di non imporre un punto di vista, ma di dar voce ai punti di contatto. Il racconto prende forma come una tessitura delicata, in cui ogni gesto, ogni silenzio, ogni contrasto tra luce e oscurità assume un valore simbolico e profondamente umano.
Il taglio registico privilegia l’osservazione: la macchina da presa non invade, ma accompagna. È una presenza rispettosa, capace di cogliere l’autenticità degli scambi tra Luca e Antonietta, senza mai forzarli. Ogni inquadratura si trasforma in uno specchio della relazione tra i due mondi sensoriali, che si cercano, si sfidano, si accolgono.
Racconto corale perché l’arte viene vissuta insieme, attraversata fisicamente, reinterpretata attraverso l’esperienza.
Simbolico perché ogni elemento – dalla benda che toglie la vista al tocco su una scultura – assume un valore che va oltre il visibile.
Umano perché il centro della narrazione non è l’arte in sé, ma le persone che la vivono, la interpretano, la ridefiniscono.
La regia guida lo spettatore in un percorso emozionale, mai didascalico, fatto di empatia e scoperta. E nel farlo, lo invita a riflettere: quanto vediamo davvero, e quanto invece crediamo di vedere?
Diego Muratore
Diego Muratore
Studio Creativa – Sezione Video Editing
Montaggio lineare con inserti temporali
Color grading desaturato per trasmettere il senso di perdita e silenzio
Inserimento di grafiche animati con documenti originali
Helios 58mm vintage – caratterizzata da bokeh rotazionale e flares organici, ideale per ricreare distorsione percettiva e confusione mentale/emotiva del personaggio.
La componente sonora è ridotta all’essenziale. Una colonna sonora originale, discreta e minimale, accompagna i passaggi chiave della storia senza mai invadere. I suoni ambientali – passi, penne su carta, porte che si chiudono – diventano elementi narrativi, metafore acustiche dell’allontanamento e dell’abbandonono
Studio Creativa - Audio Division
“Quando ho iniziato questo progetto, non sapevo davvero dove mi avrebbe portato. L’arte non è cieca non è un documentario che racconta, è un documentario che ascolta. E questo ha fatto tutta la differenza.
Incontrare Luca – uno scultore cieco dalla nascita – è stato come disattivare per un momento la mia visione convenzionale del mondo. Osservare con le mani, immaginare con il tatto, dare forma alla materia partendo da ciò che non si vede… è stato uno shock creativo e umano. Allo stesso modo, vivere l’esperienza con Antonietta – artista vedente che ha scelto di bendarsi per comprendere – ha dato profondità a un dialogo che va oltre l’arte. È diventato un incontro tra due modalità opposte ma complementari di percepire la realtà.
Come regista, ho deciso di non ‘dirigere’ in senso tradizionale, ma di lasciare che le cose accadessero. Ho dato spazio al tempo, ai silenzi, agli sguardi – visivi o interiori – che parlano più di mille parole. La camera ha seguito senza invadere, testimone discreta di un viaggio fatto di intuizioni, contrasti e piccoli miracoli quotidiani.
Credo che oggi abbiamo bisogno di questo tipo di narrazioni: vere, lente, imperfette, ma profondamente umane. Questo film è il mio personale invito a guardare il mondo con occhi nuovi. Anche quando quegli occhi sono chiusi.”
– Il Regista
Le scelte stilistiche di L’arte non è cieca non sono solo estetiche: sono parte integrante della narrazione sensoriale. Ogni elemento visivo e sonoro è stato pensato per immergere lo spettatore in una realtà che va oltre l’immagine. È un linguaggio filmico che stimola empatia, sfida le percezioni e mette in discussione ciò che crediamo di sapere sull’arte, sulla vista e sul contatto.
Fotografia naturale e contrastata
Le riprese alternano ambienti museali neutri e spazi urbani carichi di texture, usando la luce naturale come strumento narrativo. Le ombre non nascondono, ma rivelano: raccontano il limite e lo superano. I contrasti cromatici enfatizzano le due dimensioni della percezione, quella visiva e quella tattile, mentre il ritmo visivo è calibrato sul respiro dei protagonisti.
Sound design immersivo
Il suono è protagonista tanto quanto l’immagine. Attraverso un design sonoro accurato, si restituisce il mondo uditivo di chi vive senza la vista: riverberi, dettagli ambientali, pause cariche di significato. Le musiche originali sono usate con parsimonia e rispetto, per evocare, non per spiegare.
Regia sensibile e mai invasiva
La scelta di una camera a mano discreta consente un dialogo continuo tra intimità e osservazione. Lo spettatore è invitato a “toccare con gli occhi” e a sentire con il cuore. I movimenti sono morbidi, i tagli montati su silenzi, su sguardi che non hanno bisogno di essere spiegati.
Estetica simbolica e narrativa
Il documentario impiega simboli visivi – come la benda, le mani in primo piano, la tridimensionalità delle opere – per tradurre un’esperienza interiore. Ogni scelta stilistica è una finestra aperta su una realtà diversa dalla nostra, ma non per questo meno vera. Al contrario: ci invita a vedere meglio.
Gli attori non interpretano ruoli convenzionali, ma incarnano concetti e ricordi. Le scene non sono mai caricate di pathos superfluo: la narrazione si fonda sulla sottrazione, sulla pausa, sul silenzio. L’assenza diventa forma narrativa. I luoghi – studi legali vuoti, archivi polverosi, strade deserte – si fanno personaggi visivi che amplificano il senso di esclusione e cancellazione.